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Arrampicata al Nibbio

Non ricordo di preciso in quale anno , ma sicuramente era la seconda metà degli anni novanta. In un fine settimana di inizio estate, insieme al nostro gruppetto ci rechiamo in Grignetta, al rifugio Porta, per compiere qualche gita nei paraggi. Partiti da Genova di buon'ora , il primo giorno sliamo il Resegone. Pernottiamo quindi a Rifugio. Il giorno seguente alcuni di noi decidono di andare a fare la Cresta Segantini alla Grignetta. Io ed altri tre compari, visto che al sabato la cresta è superaffollata decidiamo di andare al Nibbio a divertirci ad arrampicare. Il Nibbio è un enorme roccione affiorante, utilizzato come palestra di arrampicata, sul quale sono state tracciata diverse vie di varia difficoltà.
Giunti sul posto ci rivolgiamo ad un local per farci illustrare le varie vie e le relative difficoltà. Logicamente, vista la nostra poca esperienza del posto e del tipo di roccia, decidiamo per la più semplice, la via "Boga" valutata 5+. Maurizio, leader del gruppo, nonchè climber di conclamata fama, si offre di salire come primo di cordata. Si imbraga e inizia ad addobbarsi con tutti i suoi ammennicoli.
Ispeziona dal basso la via e vedendo che il prima chiodo sul quale piazzare il rinvio era piuttosto alto, decide di ricorrere ad un artificio, per altro molto discusso fra gli arrrampicartori. Come Eta Beta tira fuori da una tasca un bel metro di acciaio inossidabile, lo allunga e su un capo di esso applica un gancetto, chiamato Fifì, al quale è applicato un cordino. Aiutandosi col metro l'intento era quello di agganciare il fifì al chiodo, sollevarsi aiutandosi col cordino ed iniziare la salita in sicurezza. Ma da terra il fifì non arrivava al chiodo quidi inizia a salire di circa un paio di metri, quindi con tono sicuro dice:
<Passami l'attrezzo>
Al che qualcuno di noi, non ricordo bene chi fosse, gli porge il metro completo di fifì e cordino. Maurizio, tenendosi con una mano ad un apiglio cercò di agganciare il fifì al chiodo.
L'attrezzo però cosi sistemato era particolarmente flessibile e ad ogni manovra penzola va di qua e di là ed anche dopo numerosi tentativi non riuscì ad agganciarlo. Nel frattempo alcuni, anzi, quasi tutti i presenti si erano avvicinati a guardare l'evolversi delle operazioni. Maurizio a questo punto, dopo tutto questo tempo era stanco e quidi doveva tornare indietro di quei due metri che lo separavano dal suolo. Prova e riprova non riesce a scendere più di un mezzo metro, quindi decide di saltare, ma ha paura. Allora noi cerchiamo di sostenrlo come possiamo. Intanto la folla di osservatori aumenta... Mentre la piccola folla che si era radunata ci osserva, noi cerchiamo di aiutarlo come possiamo:
Chi gli poggia una mano sotto una scarpa per fargli da gradino più basso, chi con una mano lo sostiene al fodo schiena, chi si adopera diversamente. Dopo aveci avvisato ripetutamente
<mi mollo, mi mollo>
Si lascia andare travolgendoci tutti e tre in una rovinosa caduta. Quando il polverone che abbiamo sollevato cadendo per terra si dirada vediamo un mucchio di visi perplessi che ci ossrvano.
<Vi siete fatti male?>
Nessuno accusa dolori, se non nel propiro orgolglio.
< Ma chi sun sti Chi??? > esclama uno.
<Su no mi! sun na banda de disperati!!> risponde un'altro..
Un tale arriva legato con un suo compare e ci domanda, con fare sarcastico:
<Arrampicate ancora sulla Boga?? >
<No, per oggi basta> rispondiamo noi.
Al che inizia a salire, arriva come una lucertola al primo chiodo, lo supera e raggiunge il secondo chiodo. Il suo compare gli dice:
<Non metti nulla lì??>
<No, non seve>
e prosegue sino in cima senza mettere un rinvio, quindi chiama il suo compare, che veloce come uno scoiattolo lo raggiunge alla sosta.
Ci fermiamo un po' a guardare, poi facciamo su la nostra roba e torniamo al rifugio..
Così finisce la nostra esperienza di arrapicata al Nibbio..

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